Un sogno, 29 aprile 2015...
Ho sognato la mia casa, la casa della mia famiglia.
Il cancello si apriva a fatica; l'edera vigorosa e invadente e il glicine nodoso ostruivano in parte il passaggio verso i gradini che conducevano all'ingresso. Il giardino appariva trascurato; l'erba era alta e le ortiche la superavano in altezza. Solo il prato assomigliava a quello di un tempo, pieno di margherite e di fiori gialli.
Ci ha accolto la nonna; era in cucina, come sempre. La mamma era ricoverata da molto tempo in un ospedale lontano e di lei nessuno riusciva ad avere notizie. Ho trovato il papà nella sua camera; era triste e non parlava. Mio fratello, seduto al tavolo nella sua stanza, stava scrivendo su un quaderno; ci siamo scambiati solo poche parole. La nonna, molto molto anziana, faceva il possibile per accoglierci con gioia. Non si avvertiva alcun segno di serenità in lei. Si capiva che era stanca e che il peso della famiglia ricadeva tutto sulle sue spalle. Da quanto tempo mancavamo?
Tutta la casa sembrava trascurata, si coglieva ovunque il senso di abbandono.
L'atmosfera era malinconica, priva di speranza.
Mio figlio era piccolo e voleva giocare. Indossava una tutina azzurra. E' uscito con suo padre per andare a correre nel prato. Li ho guardati dalla finestra: erano allegri. Non avevo portato con me un berretto per proteggerlo dal sole. Ho cercato fra le cose di mio fratello e ne ho trovati due: uno scolorito e uno pieno di polvere. Li ho lavati entrambi e li ho stesi ad asciugare. Sono tornata dalla nonna e ci siamo messe a parlare. Cercava di nascondere le sue preoccupazioni. Mi sono offerta di aiutarla.
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